C’era una volta una barzelletta in cui un italiano condannato alla ghigliottina scampava, miracolosamente, alla decapitazione a causa di un difetto della lama, provocando l’ira di un boia incredulo davanti a tanta fortuna. La metafora, fuori da qualsiasi riferimento letterale, sembrerebbe alludere a Giuseppe Conte. Il premier, infatti, si è rivelato un osso più duro del previsto, essendo riuscito in questi mesi a mantenere l’equilibrio nonostante la sua poltrona abbia traballato vistosamente più volte. Come avvenuto negli ultimi giorni sul Mes, lunga diatriba apparentemente conclusasi ieri con il voto favorevole di Camera e Senato e che aveva provocato inquietanti fibrillazioni nella maggioranza di governo. A far temere, in particolare, per la continuazione dell’esecutivo ( e della legislatura) erano state le dichiarazioni del leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che non aveva escluso un’ uscita dalla maggioranza a fronte dell’insistenza di Conte nel volere istituire una cabina di regia per gestire i fondi del Recovery Plan. Una levata di scudi che ha visto il senatore fiorentino prima minacciare la crisi di governo e poi fare marcia indietro dopo aver avuto le opportune garanzie sull’impiego del Mes da parte dell’Italia. Proprio Renzi, intervistato dal Tg2, si era espresso in tal senso, giudicando una follia la richiesta di Conte di attribuire a una task force il compito di gestire il denaro dell’UE. Sempre Renzi aveva criticato l’operato del Presidente del Consiglio, a suo dire poco rispettoso delle prerogative parlamentari, e minacciato una crisi di governo nel caso in cui l’esecutivo non avesse ottenuto la fiducia delle Camere. Tanto rumore per nulla, quindi, ma che preannuncia un nefasto quanto probabile temporale che arriverà nei prossimi mesi, da quando cioè con l’arrivo del vaccino anticovid si inizierà a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia. Il via libera al Mes, infatti, ha notevolmente intorpidito le acque nel M5S, dando un colpo mortale a quello che era l’ultimo caposaldo del loro programma elettorale. Una giravolta, l’ennesima in verità, che ha indotto una parte dell’opposizione ad accusare ,durante la seduta alla Camera, i deputati grillini di tradimento del proprio mandato elettorale. Particolarmente dure sono state al riguardo le parole riservate alla maggioranza da Claudio Borghi (Lega) e da Giorgia Meloni (FdI), colpevole a loro dire di tenere all’oscuro gli italiani sulla reale situazione del paese per ciò che concerne il contenimento dell’epidemia e la gestione dei fondi europei. Discorsi che testimoniano l’esistenza di un’ opposizione agguerrita, di duri e puri o che perlomeno vuole far credere di esserlo. Non si deve, infatti, ritenere che le divisioni alberghino solo nel centrosinistra , essendo le crepe di quest’ultimo, a causa della sua connaturata litigiosità, solo più evidenti rispetto a quelle del centrodestra. Proprio in questi giorni, infatti, era stata ventilata l’ipotesi di un possibile smottamento di pezzi dell’area centrista, come Cambiamo! di Toti, l’Udc e Noi con l’Italia, disposti a venire in soccorso dell’esecutivo in caso di un plausibile tracollo. Ipotesi resa credibile, più che da un probabile smarcamento dalla maggioranza al Senato del gruppo di Italia Viva, dal rischio, paventato in questi giorni da alcuni giornali, che ha intonare il De Profundis per il governo Conte bis sarebbe stata una presunta fronda in seno al corpo parlamentare del M5S. Fronda che si è poi ridotta a poche decine di parlamentari, del tutto ininfluenti per mettere a rischio la tenuta della maggioranza. Una differenza determinante che ha permesso di tacitare le cassandre e gli uccelli del malaugurio, ma che non permette, tuttavia, di esultare e pontificare sullo scampato pericolo. Difatti, Matteo Renzi, dopo la fiducia da parte del Senato, è tornato a mettere in guardia l’esecutivo, chiedendo un cambio di passo urgente, pena l’apertura verso scenari alternativi. Sinistri avvertimenti, dunque, che innervosiscono più di uno e restituiscono l’immagine di una classe politica in balia di se stessa, senza timone né timoniere, in cui più che la salute degli italiani a venire salvaguardata è l’interesse di cappa e di spada. In tal senso, per riprendere la metafora dell’inizio, diventa difficile stabilire chi sia la vittima e il carnefice e soprattutto chi sopravviverà alla lama del boia in questo turbinio incessante di eventi imprevedibili. Siamo alle idi di Marzo sebbene qualcuno al governo non pare essersene reso ancora conto.
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