Credevamo che la storia fosse finita con il trionfo statunitense al termine della Guerra Fredda, ma evidentemente ci sbagliavamo. Il conflitto ucraino, reo di aver svelato al mondo la ferocia e la tracotanza del regime di Mosca, ci ha riportato ai tempi del confronto più aspro fra potenze bipolari. Una tensione che si evidenzia oltremodo attraverso il sempre più frequente riferimento retorico al possibile impiego di armi nucleari nel contesto attuale. Solo poche settimane fa, infatti, Lavrov ha rimarcato che se la sopravvivenza della Russia sarà in pericolo una tale opzione non sarebbe da Mosca esclusa a priori. Un monito che segue la decisione di Vladimir Putin di trasferire, in seguito all’adesione della Finlandia alla Nato, testate atomiche tattiche in Bielorussia, in prossimità del confine con la Polonia. Essa rischierebbe, in quanto presidio orientale europeo di diventare la nuova Hiroshima, qualora un simile scenario dovesse avverarsi. Ma esattamente cosa è accaduto settantotto anni fa, allorché il mondo ha sperimentato la letalità di questa iniqua scoperta scientifica? Erano da poco passate le otto, quando la prima bomba atomica, chiamata in codice “Little Boy”, fu sganciata sulla città giapponese di Hiroshima, nella prefettura di Osaka. La bomba esplose a 580 metri da terra causando da subito fra le settantamila e le novantamila vittime. Solo tre giorni dopo, sulla vicina Nagasaky, esplose “Fat Man”, la seconda bomba nucleare costruita dagli Usa per piegare la resistenza nipponica. La bomba, a differenza di quella sganciata su Hiroshima, si componeva di un cuore di Plutonio 239, era lunga 3,25 metri, larga 1,5 e pesava 4 tonnellate e mezzo. Un autentico mostro di fuoco, dunque, che sfruttando l’energia sprigionata dalla fissione dei nuclei di Plutonio distrusse la vita in una manciata di minuti. La bomba funzionava secondo un meccanismo sensibilmente più sofisticato di quello di Hiroshima ma ugualmente distruttivo. Il successivo 13 Agosto, a cospetto di tale disastro, il governo giapponese si arrendeva agli Usa: finiva la Seconda guerra mondiale e iniziava l’Era Atomica. Nel sangue e nel terrore era stato generato un killer, figlio della fisica e della chimica, il quale minacciava la futura sopravvivenza del genere umano. La sua nascita ebbe una storia assai travagliata e non meno interessante: tutto ebbe inizio nel 1938, allorché il chimico tedesco Otto Hahn osservò la scissione dell’atomo a seguito di un bombardamento dei nuclei con neutroni. Gli studi di Hahn riprendevano quelli di Enrico Fermi, che già quattro anni prima aveva notato che la scissione dell’atomo provocava una reazione nucleare a catena. Nel 1942, un gruppo di scienziati emigrati dall’Europa (fra cui lo stesso Fermi) si preoccupò di tradurre in pratica il risultato di questi esperimenti per favorirne un impiego militare. Nacque il Progetto Manhattan, finanziato interamente dal governo americano con l’obiettivo di arrivare ad avere l’arma nucleare prima che tale risultato venisse raggiunto dalla Germania nazista. Il 16 Luglio 1945, sotto la supervisione del dottor Oppenheimer, capo del Progetto Manhattan, avveniva il primo test atomico nel deserto di Alamogordo, in Nuovo Messico( test Trinity). Tuttavia, la bomba che fu impiegata non contro la Germania ma verso il Giappone per via degli effetti devastanti prodotti fù oggetto di pesanti critiche e ripensamenti. Già nel 1945, infatti, nacquero gruppi e comitati che chiedevano espressamente alle potenze mondiali uscite vittoriose dal conflitto ( principalmente Usa e Urss) di adoperarsi per limitare gli arsenali nucleari. Appello questo rimasto inizialmente inascoltato per via delle vicende connesse alla guerra fredda che portarono, invece, a un incremento massiccio delle armi atomiche. Tuttavia, nonostante la fine della Guerra Fredda, il dibattito continua ad essere vivo in tutte le nazioni del mondo relativamente all’opportunità di usufruire dell’energia nucleare e delle tecnologie da essa derivatene. L’ Italia, in particolare, ha deciso di uscire dal programma nucleare mondiale a seguito dell’esito del referendum del 1987 ( svoltosi successivamente all’incidente di Chernobyl), decisione confermata poi dal referendum del 2011. Le motivazioni addotte da quanti si dichiarano contrari all’impiego dell’energia nucleare sono molteplici e meritevoli di nota: in primo luogo il territorio Italiano, essendo ad elevato rischio sismico non consente di produrre in sicurezza; in secondo luogo la difficoltà di smaltire le scorie aggraverebbe un settore come quello del riciclaggio dei rifiuti già in condizione critica per lo smaltimento di quelli solidi e urbani; infine, l’alto costo per la manutenzione degli impianti e la possibilità che questi e i suoi derivati possano essere cedute a potenze o industrie straniere, favorendone quindi la proliferazione, rendono decisamente poco vantaggioso un ritorno del nostro Paese al nucleare. Credo, in conclusione, che dobbiamo tutti quanti riflettere con serietà e coscienza riguardo al futuro nostro e del pianeta che abitiamo, proprio alla luce di quello che è avvenuto nell’ultimo secolo. Come disse Primo Levi ciò che è accaduto può accadere ancora e se il male è suscettibile di tornare, pur in forme diverse, allora preoccupiamoci tutti di rendere migliore il mondo che abitiamo, evitando di inseguire le chimere di chi ancora sogna Chernobyl. Ricordiamoci che la vita è il bene più prezioso che abbiamo e che solo un mondo di pace può evitarci di scomparire in un gigantesco fuoco d’artificio causato dalla follia e dalla cupidigia umana.
La follia umana sembra non avere limiti eppure lenti e silenziosi progressi ci sono stati,speriamo bene.Interessante argomento!
Speriamo vivamente che sia così perché molta gente ancora si ostina a credere che il nucleare sia una fonte di energia affidabile e sicura e invece non lo è.