E pensare che solo un paio di anni fa, forte del sorprendente risultato conseguito alle elezioni Europee, in molti lo vedevano già leader in pectore del nuovo centrodestra italiano. Invece, Matteo Salvini è riuscito nel giro di un battito di ciglia a disperdere tutto quel consenso che, attingendo alla retorica populista che gli è propria, aveva guadagnato agli esordi di questa legislatura. Un inizio che, però, non era cominciato sotto i migliori auspici. L’alleanza demagogica con il M5S non ha infatti portato bene al leader della Lega, rivelandosi per lui un vero e proprio abbraccio della morte. Basta pensare a come quella parentesi si è conclusa, ovvero con l’uscita della Lega dal governo in favore del PD. Un metodo che tafazzianamente Salvini continua da allora a replicare, evidenziando il proprio dilettantismo politico. Come l’idea, dopo la fine del Conte bis, di entrare nel governo Draghi, mostrandosi critico a fasi alterne, in nome di un malsano istrionismo che porta il personaggio a credersi il centro del mondo. Esibizionismo che ha replicato anche in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. Solo così si può definire, infatti, il metodo adottato da Salvini per scegliere il successore di Mattarella. Un metodo ,che privilegiando la contrapposizione al dialogo, ha portato all’unico risultato di spaccare la coalizione di centrodestra, favorendo la propria marginalizzazione e la resurrezione di altri. In primo luogo quella di Silvio Berlusconi, che come l’Araba Fenice è risorto ancora una volta dalle ceneri, dimostrandosi più scaltro di Salvini nel prevedere le manovre parlamentari e le mosse degli avversari. Proprio ieri Forza Italia ha fatto sapere che Berlusconi sta lavorando per potenziare il versante moderato della coalizione. Moderati che, considerando anche la costante crescita del partito del non voto, si rivelano sempre più decisivi nel vincere le competizioni elettorali. Salvini è, inoltre, riuscito nell’intento di rafforzare il ruolo di Fdi e di Giorgia Meloni. La leader della destra italiana, infatti, conclusasi la campagna per il Quirinale, è stata la prima a certificare la dissoluzione dell’alleanza, rivendicando per sé il ruolo di faro del populismo italiano. Si può allora facilmente dedurre che il futuro per il leader del Carroccio non è più così roseo, celandosi dietro il raffreddamento dei rapporti con gli alleati il rischio di un crescente isolamento della Lega nell’arco costituzionale. Da mesi, infatti, in via Bellerio non si parla d’altro della fronda interna al partito capeggiata da Giorgetti e sostenuta dai governatori, sempre più insofferenti verso la linea oppositiva e movimentista del “capitano”. Malumori che negli ultimi giorni sono stati condivisi pure da Umberto Bossi, fondatore e storico segretario della Lega Nord. Per Bossi, che non ha mai nascosto la sua antipatia per Salvini, la Lega deve tornare alle origini, abbandonando la deriva nazionalistica verso cui l’ha condotta l’attuale segretario. Ha poi ammonito i suoi relativamente alla necessità di traghettare il partito nel PPE, ricordando come la Lega appartenga geneticamente alla sinistra e alla tradizione federalista-autonomistica. Parole queste che dovrebbero indurre a una sana riflessione sul futuro, specialmente in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Eppure, Salvini, sempre più solo all’interno del centrodestra, continua a scambiarsi accuse con gli (ex) alleati, addebitando a loro i suoi errori. Un atteggiamento che testimonia il nervosismo del segretario, ma anche la sua frustrazione per l’ennesima batosta che allontana il centrodestra da una vittoria politica ormai non più così scontata. articolo di Gianmarco Pucci
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