Finita la festa, bisogna darsi da fare per rimettere insieme i cocci. Così, chiusasi la finestra elettorale di Domenica e Lunedì, ci si prepara all’ Autunno imminente, non senza tracciare, tuttavia, un sommario bilancio di quanto avvenuto pochi giorni fa. Analizzando i risultati di questa tornata elettorale, sorprende come tutte le principali forze politiche manifestino un certo entusiasmo per i risultati conseguiti alle elezioni amministrative e al referendum costituzionale. La vittoria sembra avere beneficiato tutti (o quasi) i contendenti di questa aspra campagna elettorale, elargendo generosamente i suoi doni in un momento così difficile come quello che il paese sta vivendo. In verità, se non ci si lascia abbagliare dalle apparenze, dall’ormai quotidiano esercizio di retorica che non esclude nessuno dagli onori della vittoria , emerge come tutti i partiti, pur vincendo, hanno in realtà perso qualcosa. Il M5S, ad esempio, ha rivendicato per voce di Luigi Di Maio il successo dell’esito referendario, che realizza uno dei capisaldi del programma di governo del Movimento, ovvero la riduzione del numero dei parlamentari italiani. Nelle parole di Di Maio non vi è , però, alcuna menzione del deludente risultato ottenuto dal Movimento nei territori, dove cioè il partito ha ulteriormente dimezzato i propri voti. L’ euforia rischia quindi di coprire quella che potrebbe facilmente tramutarsi in una crisi, pressoché irreversibile, del movimento fondato da Beppe Grillo. Una crisi identitaria, che passando attraverso una lenta agonia, diviene ogni giorno più chiara alla vista dei suoi esponenti e della base, giustamente in fermento per dei risultati elettorali non certamente rassicuranti. Lo stesso Alessandro Di Battista, nel suo intervento su Facebook di qualche giorno fa, ha evocato come la mancanza di discontinutà nell’azione di governo potrebbe condurre alla fatale dissoluzione del Movimento 5 Stelle. Anche per quel che riguarda il risultato positivo del referendum sul taglio delle poltrone in Parlamento il M5S non può dormire sonni tranquilli. Infatti, è innegabile, come sempre Di Battista ha sottolineato, che non tutti coloro i quali hanno votato per la riduzione dei deputati e dei senatori sono elettori del Movimento 5 Stelle, avendo il quesito attirato intorno a sé una maggioranza trasversale di persone deluse dall’operato del Parlamento negli ultimi anni. Si comprende, allora ,perché nel movimento di Beppe Grillo è iniziata una fase decisiva per la sopravvivenza stessa del partito, sempre più diviso al suo interno fra chi desidera portare avanti l’esperienza di governo con il Partito Democratico e chi esprime perplessità riguardo alla linea politica fin qui protattasi. dall’ altro lato, quello del PD appunto, Zingaretti tira un sospiro di sollievo per essere riuscito a salvare dall’insidia leghista la Toscana e a mantenere la Campania e la Puglia. Quest’ultima, in particolar modo, era ritenuta a rischio, essendosi profilato giorni prima del voto un periglioso testa a testa fra Michele Emiliano e Raffaele Fitto. Se, dunque, il centro sinistra plaude allo scampato pericolo, essendo riuscito a conservare tre regioni su sette, il centro destra ritrova una discreta spinta propulsiva per essere riuscito a strappare agli avversari le Marche e a tenere la Liguria con Toti e il Veneto con Zaia. Ma anche qui non ci si può esimere da qualche riflessione. La coalizione, se anche ha riscosso un notevole successo al nord, ha dimostrato di non reggere il confronto elettorale nel sud del paese, dove la proposta politica, forse anche per la riproposizione di personalità legate a vecchi apparati di potere, si è dimostrata non all’altezza della situazione. Inoltre , la vittoria nelle Marche di Fratelli d’Italia e di Luca Zaia in Veneto minacciano da molto vicino la leadership di Matteo Salvini. La Lega dell’attuale segretario ha infatti perso vistosamento consensi nell’ultimo anno e mezzo e ciò potrebbe, in un futuro non tanto lontano, portare a una sua sostituzione con Zaia, ormai visto da molti come la vera punta di diamante del Carroccio. Si evidenzia altresì come il calo di consensi della Lega registratosi nell’ultimo periodo, sembrerebbe aver favorito il partito di Giorgia Meloni, la quale secondo una percezione assai diffusa ha il merito di trattare le stesse tematiche care alla Lega ma in modo più pragmatico e concreto. In posizione minoritaria resta, invece, Forza Italia, interessata da una crescente riduzione del proprio bacino elettorale, segno del declino di Berlusconi e di ciò che resta della “Seconda Repubblica”. una partita a tre, dunque, quella che si è giocata, senza né vincitori né vinti, che dovrebbe spingere tutti a interrogarsi sulla diffusa e soprattutto sulla persistente sfiducia della gente verso la politica e i partiti. Una sfiducia resa manifesta dall’elevato numero di cittadini che ormai da anni disertano il voto, che non hanno neanche più la forza di indignarsi , che nella convinzione dell’immutabilità della condizione italica si ritrova avvinta ancora di più nella spirale della rassegnazione. Il M5S ha promesso che dopo il referendum si lavorerà a una nuova legge elettorale che reintrodurrà dopo anni le preferenze. L’iniziativa ha già fatto storcere il naso a molti nella maggioranza. Tuttavia, come in questi giorni ha ricordato anche il leader delle Sardine, Mattia Santori, una legge proporzionale che consenta ai cittadini di scegliere liberamente i propri rappresentanti in Parlamento è quanto mai necessaria per ovviare agli effetti distorsivi che potrebbero inverarsi se i deputati e i senatori continueranno ad essere nominati dalle segretarie dei partiti.
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