Per decenni la sua figura, enigmatica e sfuggente, è stata al centro dei principali notiziari italiani. Di lui rimaneva solo una voce, impressa su un nastro registrato, e delle vecchie foto, ingrigite dal passare del tempo. Ora, invece, Matteo Messina Denaro è uscito dall’ombra e ha smesso di essere un fantasma. Le immagini del suo arresto hanno fatto il giro del mondo, consegnando alla giustizia “l’Ultima Primula Rossa” di Cosa Nostra. A tradirlo è stata la malattia, che lo ha costretto a recarsi in clinica per beneficiare di un particolare trattamento chemioterapico. Celandosi sotto il falso nome di Andrea Bonafede, i carabinieri del Ros lo hanno osservato per mesi, seguendo l’elenco delle prestazioni sanitarie da lui richieste. Un dettaglio non da poco, rivelatosi più che sufficiente a decretare la fine della sua lunga carriera criminale. Una carriera iniziata più di trent’anni fa, ai tempi delle stragi di mafia, e che è proseguita fino all’altroieri, nel più totale anonimato. Dalle prime indiscrezioni, pare che “U Siccu” non abbia mai abbandonato la sua Castelvetrano. Un fatto sul quale stanno ora indagando gli inquirenti, al fine di ricostruire quella fitta rete di relazioni che ha favorito la latitanza del padrino. A Mazara del Vallo, ultima residenza del boss, sono stati arrestati ieri il suo medico di base e il vero Andrea Bonafede, il quale ha rivelato agli investigatori di conoscere e stimare personalmente Messina Denaro fin da bambino. Rapporti umani, dunque, che il figlio di Ciccio Messina Denaro ha coltivato sapientemente in tutto questo tempo, permettendo a Cosa Nostra di evolversi e cambiare pelle. A differenza di Riina e Provenzano, “Don Matteo” ha tagliato i ponti con la vecchia mafia agreste, non disdegnando il lusso e il potere. Grazie a lui si è ulteriormente saldato quell’asse fra crimine organizzato, borghesia mafiosa ed economia grigia, costituente il cosiddetto “Terzo Livello” di tutti gli affari sporchi italiani. Non è riuscito, tuttavia, ad evitare il declino di Cosa Nostra degli ultimi anni, il cui dominio è sempre più insidiato dall’emergere di nuove e più pericolose organizzazioni. In primis la Ndrangheta, che da tempo ha tolto alla mafia siciliana il monopolio del traffico di droga. In virtù degli stretti legami che ha avuto con la massoneria, è anche ritenuto l’uomo dei misteri. Soprattutto, per i tanti segreti che custodisce e che periranno con lui. Fra tutti, quelli relativi alle stragi degli anni 90 e alla presunta trattativa con lo Stato. Non per niente, fu a lui e a Brusca che Riina commissionò alcuni dei più aberranti omicidi di quel periodo. Dalla strage di Via d’Amelio a quella di Via dei Georgofili, dalla bomba inesplosa allo Stadio Olimpico fino agli omicidi del piccolo Giuseppe Di Matteo e di Antonella Bonomo, sono tanti i delitti di cui si è reso autore o partecipe. Ciononostante, proprio Totò “U Curtu”, prima di morire, lo aveva disconosciuto. I suoi metodi troppo indulgenti verso lo Stato, unitamente alla sua riluttanza a regolare i conti con le armi, avevano ultimamente suscitato un certo disappunto fra i membri più ortodossi della cupola palermitana. Tanto da legittimare il sospetto di un possibile cambio della guardia ai vertici dell’organizzazione . Del resto, come diceva Giovanni Falcone, ella è un fenomeno tipicamente umano, con liturgie non dissimili da quelle di una qualunque altra società. Al pari, è anche gattopardianamente in perenne trasformazione. La sua esistenza è, infatti, immanente a quella della comunità nazionale e, per certi versi, ne accompagna i cambiamenti. Fortunatamente, però, qualcosa negli ultimi decenni è cambiato e si sta perdendo il concetto di mafia quale cancro endemico della società. l’organismo statuale ha sviluppato degli anticorpi sempre più forti contro questo male iniquo della nostra terra. Malgrado non possa dirsi sconfitta definitivamente con l’arresto di Matteo Messina Denaro, Cosa Nostra manifesta evidenti segni di decadenza. L’emergere del fenomeno del pentitismo, inaugurato da Tommaso Buscetta, ha permesso di comprendere meglio certe dinamiche interne all’organizzazione e di prevenire la commissione dei reati. La maggiore consapevolezza dei cittadini siciliani riguardo ai propri diritti ha, inoltre, consentito lo sviluppo di quella cultura della legalità che la mafia teme come la peste. Nondimeno, a prescindere dall’euforia del momento, da adesso inizia per lo Stato una nuova battaglia. Con l’arresto di Messina Denaro si è certamente chiusa l’epoca della mafia stragista, ma non di quella degli affari. Un sistema che, inquinando l’economia sana, produce più danni del piombo delle pistole, al quale preferisce sempre più sorrisi pacati e vellutate strette di mano. di Gianmarco Pucci
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