Quella di Martedì, parafrasando il titolo di una celebre trasmissione di Sergio Zavoli, è stata senz’altro la notte più lunga della Repubblica Usa. Per la prima volta dopo vent’anni gli Stati Uniti d’America si sono svegliati senza avere un presidente designato. L’ ultima volta in cui si concretizzò un simile scenario fu infatti nel 2000, allorché il repubblicano George W Bush vinse di misura sul candidato del partito democratico Al Gore. Oggi la storia sembra ripetersi, seppure con accenti e toni differenti. I due candidati alla presidenza sono stati considerati ,fino a ieri, sostanzialmente alla pari nel conteggio dei voti stato per stato. Poi, nella mattinata, le sorti hanno iniziato lentamente a capovolgersi a favore di Joe Biden, il quale ha conquistato due degli stati ritenuti decisivi per la vittoria ( ovvero Michigan e Wisconsin). Ora resta da attendere i risultati degli altri che, a causa dell’elevato numero di schede spedite per posta, comunicheranno i dati definitivi solo nei prossimi giorni. Una modalità questa aspramente criticata da Donald Trump per la sua presunta iniquità, ma che potrebbe risultare determinante, specie in stati in bilico come la Pennsylvania, nel decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Resta comunque certo che,allo stato attuale, Joe Biden è avanti sia nei voti popolari sia nel calcolo dei grandi elettori, sebbene con un margine di vantaggio inferiore rispetto a quanto riportato dai sondaggisti fino a pochi giorni fa( appena due punti percentuali). Al contrario Trump sembra sempre più sfavorito nella corsa alla presidenza, tanto che ha già minacciato di ricorrere alla Corte Suprema nel caso in cui i democratici gli dovessero “rubare” l’elezione. Per il Tycoon di New York sarebbe, infatti, in corso una vera frode perpretata dagli avversari per liberarsi di lui. Ha anche richiesto, per bocca del suo avvocato Rudolph Giuliani, di bloccare il conteggio dei voti negli stati più a rischio, all’evidente scopo di non dover ammettere la sconfitta elettorale. Dichiarazioni esplosive che apertamente stridono con le parole di cautela pronunciate al riguardo da Biden. Esso ha già annunciato, a tal riguardo, che non si proclamerà vincitore fino a quando non verranno contate tutte le schede elettorali, dimostrando una calma serafica che non si addice al suo sfidante. Al contrario esso diviene sempre più furente mano a mano che passano le ore e diminuiscono per lui le possibilità di ribaltare a suo favore l’esito elettorale. Ecco, perché con molte probabilità lo scontro potrebbe trasferirsi nelle prossime settimane dalle urne alle aule di giustizia, dando luogo a una crisi istituzionale senza precedenti nella storia degli Stati Uniti. Un conflitto che, tuttavia, riflette le lacerazioni e le contraddizioni presenti nella società americana e a cui Donald Trump e Joe Biden hanno, loro malgrado, dato forma. Nelle loro parole, nei loro gesti si condensano due diverse visioni dell’America e del suo ruolo nel mondo. Da un lato c è un paese arrabbiato, depresso, rurale e razzista che ha evidentemente trovato in Trump il suo alfiere, il superuomo per dirla con le parole di Friedric Nietzsche, in grado di far ripartire l’economia a stelle e strisce, restituendogli la gloria di un tempo( e in questo senso il motto “rifaremo grande l’America” acquista veramente senso pregnante). Dall’altro lato c è un paese preoccupato per le violenze, per il virus, e che aspira a riconciliarsi con la sua anima più profonda dopo anni più che mai turbolenti. In tale rigida polarizzazione verrebbe da dire che la quiete sta precedendo la tempesta, ma in realtà, a ragion veduta, sembra che in questo caso la prima e la seconda si siano equamente divise i ruoli loro assegnatole dalla sorte. Articolo di Gianmarco Pucci
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