Dopo anni di silenzio la Mala del Brenta è tornata a far parlare di sé. Era, infatti, dai tempi dell’arresto di Felice Maniero, suo storico e carismatico capo, che la malavita veneta aveva smesso di fare notizia. Un silenzio che, tuttavia, ha favorito la progressiva riorganizzazione della banda ad opera di esponenti della fazione mestrina e che ha interrotto anni di apparente torpore. Essi, secondo gli inquirenti, al fine di riprendere il controllo del territorio e recuperare il prestigio perduto erano pronti a colpire di nuovo, vendicandosi in primo luogo dei clan concorrenti e dei membri della banda divenuti collaboratori di giustizia. Fra questi proprio Maniero, il cui pentimento nel 1994 aveva messo prematuramente fine alla storia della mafia del Triveneto. Regione che vai, dunque, malavita che trovi. Se, infatti, il Mezzogiorno d’Italia vanta una lunga tradizione criminale, originatasi all’indomani dell’unificazione e perpetuatasi con il brigantaggio, nulla di diverso si è verificato in Settentrione. Al contrario, quella formatasi nel Nord-Est costituisce ancora oggi un caso di mafia autoctona, diversa e al contempo complementare a quelle sviluppatesi nell’Italia meridionale. Essa, similmente a quanto fatto a Roma dalla Banda della Magliana, è riuscita nell’intento di unificare la frastagliata malavita locale, dando forma e organizzazione a una criminalità ancora prettamente rurale. Malavita che, tuttavia, si ritroverà a fare ben presto il salto di qualità, essendo proprio in quegli anni( siamo sul finire degli anni “70”) il Veneto, in particolare Venezia e Padova, meta di soggiorno obbligato per alcuni esponenti di spicco di Cosa Nostra. Uomini che forniranno alle giovani leve del crimine locale un modello da seguire, permettendo loro di approfittare del fiorente traffico di droga che proprio in laguna aveva iniziato a sostituire il tradizionale contrabbando di sigarette e di generi alimentari. Fu così, allora, che nel giro di pochi anni nacque la Mala del Brenta, una banda che seminando terrore e morte riuscì a estendere il proprio potere su tutta la Val Padana. In particolare il suo capo, Felice Maniero detto “Faccia d’angelo”, con la propria intraprendenza riuscirà a ritagliare per i criminali di Campolongo sul Brenta( comune di nascita di Maniero e luogo di ritrovo dei suoi sodali) un posto d’onore nell’Olimpo del crimine italiano. Dallo spaccio di droga alle rapine, dai sequestri agli omicidi fino ad arrivare alle estorsioni ai danni dei cambisti del Casinò di Venezia saranno tante le azioni delittuose partorite e messe in atto da Maniero. Tuttavia, le inchieste giudiziarie dei primi anni “90”, unitamente al crescere del fenomeno del pentitismo, contribuiranno al rapido declino del sodalizio criminale che proprio con Maniero inizia e finisce. Le sue rivelazioni ai magistrati, infatti, porteranno al repentino smantellamento della sua banda, attirandogli l’odio di coloro che proprio con lui avevano iniziato la loro scalata al crimine. Un rancore che si è conservato negli anni e che oggi, all’indomani dei 39 arresti eseguiti dal Ros e dalla Dda di Mestre, continua ad alimentare il mito di questo Crono della malavita veneta, tanto onnipotente quanto sfuggente a qualsivoglia giudizio obiettivo. Un mito,che al pari di quello del Dio greco, rischia di trasformare Maniero da carnefice in vittima del primo parricidio della storia della mafia italiana.
Ok. Bene