Se fosse un legal drama, uno di quelli che piace tanto agli americani, lo si potrebbe intitolare ” tutti gli uomini di Matteo Renzi “. Invece, con il famoso film di Pakula del 1976, narrante la vicenda del Watergate, l’inchiesta sulla fondazione Open sembra avere ben poco in comune. Se non altro perché Renzi, a differenza di Nixon, non sembra avere intenzione di restare in silenzio. Infatti, ha già annunciato querela nei confronti dei magistrati di Firenze che lo hanno indagato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Secondo il leader di Italia Viva sarebbe in atto da anni, verso di lui e la sua famiglia, una vera e propria persecuzione da parte dei giudici di Firenze. Per Renzi, inoltre, i PM non avrebbero la credibilità per indagare o processare lui e il suo entourage. Da qui la denuncia del senatore per abuso d’ufficio, violazione dell’articolo 68 della Costituzione e della legge 140/2003 a tutela dell’immunità parlamentare, sporta contro il procuratore Creazzo e i sostituti Nastasi e Turco. Pronta al riguardo è stata la replica dell’ANM, la quale ha definito le parole di Renzi inaccettabili per il prestigio della Magistratura. Però, ed è appena il caso di dirlo, le accuse di Renzi non sono totalmente infondate. L’inchiesta su Open, fondazione creata per gestire i fondi a sostegno di Renzi, ha preso avvio dopo la nascita di Italia Viva nel 2019. Da allora, come lamentato dal diretto interessato, lui e la gente a lui vicina sono stati bersagliati da accuse, talvolta rivelatesi destituite di ogni fondamento giuridico. A partire dall’arresto dei genitori di Renzi, ordinato nel 2019 dal PM Luca Turco( lo stesso che oggi incrimina l’ex premier) e poi annullato dal Tribunale del Riesame. Oppure le inchieste che hanno visto coinvolti in passato i deputati Lotti e Boschi, esponenti di spicco del “giglio magico” renziano, e che oggi tornano ad essere inquisiti nell’ambito di un’inchiesta puramente indiziaria e, pertanto, di dubbia moralità. Etica che difetta, come difettava anche nei processi a carico di Berlusconi, per il modo in cui le indagini vengono condotte e per il merito delle questioni trattate. Non è, infatti, equa una giustizia che ricorre, in violazione delle più normali norme costituzionali e di procedura, ai Trojan per spiare indebitamente le conversazioni fra privati, senza l’autorizzazione della competente autorità giudiziaria. Non è, inoltre, eticamente tollerabile che la Magistratura entri a gamba tesa ad alterare le vicende politiche di una nazione ogni volta che lo ritenga opportuno e per favorire la carriera di singoli magistrati. Carrierismo che, come certificato anche dai recenti scandali che hanno interessato il variegato mondo della giustizia, è la principale fonte del cortocircuito, tipicamente italiano, fra giustizia e politica. Lo ha detto nel suo discorso di insediamento anche il Presidente Mattarella, il quale ha invitato il Parlamento a non procrastinare una riforma della giustizia quanto mai urgente. L’invito, ed è storia di questi giorni, è stato accolto dal governo ed è un’ occasione da non perdere per troncare i torbidi legami fra magistrati e politici. Legami che hanno reso malsano il clima che si respira nelle aule di giustizia italiane. In tal senso, proprio la coincidenza fra il varo della riforma e la resurrezione dell’inchiesta Open, apre la porta a dubbi e congetture. Si tratta solo di coincidenze oppure siamo di fronte all’ennesimo colpo di coda di un sistema che non accetta di essere messo in discussione? Che si voglia colpire uno per mandare un segnale a tutti gli altri? Alle prossime ore l’ardua sentenza, possibilmente non di condanna. articolo di Gianmarco Pucci
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