Gli echi delle prime battaglie sui campi della Virginia non si erano ancora placati, quando i delegati delle tredici colonie americane giunsero a Filadelfia per firmare un documento di portata storica. Dopo la battaglia di Bunker hill, infatti, divenne evidente che le aspirazioni dei patrioti statunitensi di emanciparsi dalla Madrepatria inglese, fondando una nazione nuova, libera e indipendente, fosse non solo possibile, ma anche moralmente realizzabile. Da qui, la sottoscrizione della Dichiarazione d’Indipendenza, ratificata il 4 luglio 1776 dai Padri Fondatori nel corso del Secondo Congresso Continentale. La Dichiarazione fu redatta da un’apposita commissione di cinque membri e riprendeva, a grandi linee, le istanze contenute nella Risoluzione di Lee del 1774. Tuttavia, il documento si arricchiva di puntuali richiami ai diritti inviolabili dell’uomo. In primis quello di eguaglianza, che rende tutti gli uomini artefici del proprio destino e liberi davanti alla legge. Fondamentale, in tal senso, fu l’apporto in commissione di Thomas Jefferson, futuro presidente degli Stati Uniti, che scrisse personalmente questa prima parte della Dichiarazione. Non di meno, il contributo dato da Benjamin Franklin e John Adams alla stesura. Nel rivendicare il diritto dei cittadini a ribellarsi verso gli abusi del potere statuale, costoro dichiaravano la necessità di dare vita a un ordinamento diverso da quello imposto dalla Corona britannica. Ne derivò un documento che sintetizza efficacemente, facendoli convivere insieme, il razionalismo illuminista, il radicalismo democratico e l’etica puritana. Questi valori sono tuttora parte integrante della cultura statunitense e hanno costituito il nucleo ideale da cui è scaturita la Guerra d’Indipendenza americana. Invero, i primi segni di insofferenza verso il dominio inglese si registrarono ben dieci anni prima del Congresso di Filadelfia. Successivamente alla Guerra dei Sette anni, la Gran Bretagna si trovò a dover colmare un gravoso debito di guerra che ne aveva dissestato le finanze. Per ovviare alle perdite, il Parlamento inglese decise di introdurre nuove tasse e balzelli a danno dei sudditi. In particolare, le vessazioni si fecero più stringenti nei confronti delle colonie, che fino ad allora godevano di un regime fiscale relativamente basso. La prima importante protesta si verificò, quindi, a Boston, nel Massachusetts. Qui i ribelli si opposero all’introduzione della tassa di bollo sulla carta ( Stamp act) da parte del governo britannico. I coloni rivendicavano il loro diritto a inviare propri rappresentanti a Westminster per deliberare su tale importante aggravio fiscale ( No taxation without representation). Il governo di Giorgio III decise, pertanto, di esentare le colonie dal pagamento dell’odioso balzello, pensando di sedare così la protesta. Non rinunciò comunque a esercitare le proprie potestà sui territori nordamericani. Nel 1773, un nuovo focolaio fu rappresentato dalla decisione della Corona di concedere alla Compagnia delle Indie Orientali la vendita esclusiva del tè importato dalla Cina in America. Tale scelta, penalizzando fortemente gli intermediari statunitensi, scatenò la rivolta contro il governo britannico. A dicembre, nei pressi del porto di Boston, un gruppo di coloni, appartenenti all’organizzazione “I figli della libertà” rovesciarono in mare, travestiti da pellerossa, l’intero carico di tè ospitato nelle navi ormeggiate alla fonda. Dopo questo episodio, passato alla storia come Boston Tea Party, il governo dichiarò la chiusura del porto di Boston, fino al risarcimento integrale dei danni da parte dei coloni. Nondimeno, inviò un nuovo governatore incaricato di sopprimere l’insurrezione. Il Quebec act, infine, che precludeva ogni aspirazione espansionistica verso il Canada dei coloni, fu da sola sufficiente a innescare la miccia della guerra. Dopo gli scontri di Lexington e Concord nell’aprile del 1775, la prima vera battaglia è quella di Bunker hill, una collina nelle vicinanze di Boston. Pur partendo in svantaggio, sono gli inglesi a riportare il maggior numero di perdite durante la battaglia. A differenza dell’esercito britannico, però, le forze indipendentiste sono scarsamente disciplinate e organizzate. Pertanto, il Congresso decise di costituire un esercito stabile e permanente, a cui capo fu messo un ricco proprietario terriero della Virginia, ovvero George Washington. Washington, che sarà il primo presidente degli Usa, era consapevole dell’inferiorità tattica e numerica dei suoi uomini. Ciononostante, egli riuscì a sfruttare l’entusiasmo patriottico delle sue truppe, infliggendo dure sconfitte all’esercito di Sua Maestà. Persa Long Island, le sorti della guerra volgono finalmente favore degli americani, a partire dalla battaglia di Saratoga Springs(1777). Ma è solo con la presa di Yorktown quattro anni dopo che iniziano i negoziati di pace fra l’Inghilterra e i rappresentanti delle colonie. Fondamentale, al riguardo, è stato l’appoggio ricevuto dagli americani da parte delle altre potenze europee. In primo luogo la Francia, grande sconfitta nella Guerra dei Sette anni con l’Inghilterra, ma anche la Spagna e l’Olanda contribuirono efficacemente alla vittoria finale della causa indipendentista. Tale vittoria ha simboleggiato, citando Thomas Paine, l’affermazione definitiva dell’epoca della ragione sull’assolutismo monarchico nel Nuovo Mondo. Ha, altresì, contribuito a fondare un nuovo popolo, discepolo eletto di quegli ideali egualitari, democratici e federalisti espressi nella Costituzione degli Stati Uniti. Un popolo che, nato sfavorito, è riuscito a emanciparsi, consegnando al pianeta, con tenacia e ottimismo, un grande impero globale che sopravvive tutt’oggi.