Giovedì scorso, davanti alla sede della Camera, si è svolta la manifestazione organizzata dai sindaci calabresi contro il commissariamento della sanità regionale. L’evento, che ha riunito a Roma i rappresentanti dei comuni capoluogo di provincia e di altre municipalità importanti della regione, ha avuto come obiettivo quello di chiedere un intervento urgente del governo per superare lo stato di incertezza determinatosi in Calabria nelle ultime settimane. In particolare, i sindaci hanno chiesto al Presidente Conte di rimuovere la zona rossa in Calabria e di nominare un commissario idoneo ad affrontare l’emergenza sanitaria in atto. Ruolo questo che pare nessuno possa (o voglia) assumere e che ha dato luogo a un imbarazzante siparietto di nomine, subito rimesse per i motivi più surreali e grotteschi. Episodi che hanno aggravato il quadro già precario di una regione con un sistema sanitario commissariato da più di dieci anni a causa dei tagli e dei debiti accumulati dalle aziende ospedaliere. Una situazione drammatica che, tuttavia, solo la concomitanza di alcuni fattori inediti come l’emergenza sanitaria da Coronavirus e lo scioglimento anticipato della giunta regionale (dovuto alla morte del governatore Jole Santelli lo scorso Ottobre) ha fatto emergere in tutta la sua tragica dirompenza. Del resto, che la situazione sia grave e che avrà rilevanti ripercussioni sulla gestione del territorio lo si evince anche dalle parole pronunciate dai sindaci nel corso della manifestazione, parole che suonano come un disperato grido di aiuto in favore di una terra che sembra non trovare proprio pace. Per il Sindaco di Aiello Calabro e Presidente della Provincia di Cosenza, Francesco Antonio Iacucci, ad esempio “il governo ha dimostrato in questi mesi di avere a cuore la Calabria, sebbene riguardo alla sanità l’aspirazione degli amministratori è di tornare (dopo questo necessario periodo commissariale) a una gestione autonoma della sanità regionale, privilegiando gli investimenti pubblici nelle strutture ospedaliere a discapito dei tagli lineari fin qui attuati”. Sulla stessa linea si attesta il Sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, il quale ribadisce ” il no a un commissariamento che non sia a tempo, essendo compito specifico della prossima giunta regionale quello di migliorare la sanità e garantire il diritto alla salute per tutti i cittadini calabresi”. Abramo ha poi evidenziato come ” la cattiva gestione della sanità sia da imputare a nomine che negli ultimi anni hanno favorito gli amici degli amici e non il merito e la competenza, fattori presenti in Calabria ma non giustamente valorizzati”. Concetto espresso, seppur con parole diverse, anche dal Sindaco di Vibo Valentia, Maria Limardo, la quale ha sottolineato come con il commissariamento della sanità “la Calabria sia stata letteralmente espropriata del suo diritto all’autodeterminazione. Un buco di democrazia al quale è necessario rispondere, rivendicando il pieno diritto della regione all’autonomia e premiando la professionalità, la sobrietà dei medici e degli amministratori”. I sindaci hanno poi preso le distanze, dichiarando la propria fiducia nella magistratura, da quanto accaduto a Catanzaro nelle ore precedenti alla manifestazione, dove si è verificato l’arresto del Presidente del Consiglio Regionale, Domenico Tallini. Una vicenda, che al di là o meno del suo buon esito, ha danneggiato ulteriormente l’immagine della Calabria. Domenico Tallini, infatti, si trova agli arresti domiciliari ed è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio per aver favorito il clan crotonese dei Grande Aracri nell’ambito dell’inchiesta “Farma business”. Secondo la ricostruzione dei magistrati , Tallini, che era oggetto di indagine già dal 2014, da quando cioè era stato inserito nella lista dei cosiddetti “politici impresentabili”, avrebbe avuto un ruolo centrale nel sodalizio criminale instauratosi con il clan di Cutro. Suo sarebbe stato il compito di mantenere i rapporti fra istituzioni, massoneria deviata e criminalità organizzata per garantire i traffici illeciti della mafia. Egli, inoltre, avrebbe favorito, abusando della propria posizione, la sottrazione dei farmaci destinati ai malati terminali, alterando la rete di distribuzione e incrementando così il mercato nero dei medicinali. Proprio la gravità di queste accuse ha contribuito a svelare le tante negligenze, le tante criticità di una terra sempre più abbandonata a se stessa, defraudata da chi avrebbe avuto il dovere di governarla con rispetto e amore. Un degrado ampiamente documentato dai servizi dei tg nazionali in questi giorni e che ha mostrato al mondo i tanti ospedali e presidi medici lasciati nell’incuria, strutture che non hanno mai aperto i battenti e che di fronte all’aumento dei contagi da Coronavirus avrebbero potuto funzionare ottimamente come reparti anticovid. Uno scempio perpetuato per anni, per decenni e che ha investito tutti i settori di intervento della cosa pubblica. Lo si sta vedendo anche adesso con il nubifragio che ha colpito la provincia di Crotone, un fulgido esempio di pessimo governo del territorio che ci si aspetterebbe di non vedere replicato mai più, in Calabria come altrove. Il ritratto che emerge è desolante, quasi denigratorio nei confronti di quei tanti calabresi che hanno lasciato la loro terra d’origine per rendere grande il nostro paese. Ed è proprio a questi che le istituzioni dovrebbero rivolgersi affinché le cose cambino. Lo ha detto anche il Procuratore di Catanzaro Gratteri in questi giorni : per sconfiggere il duplice virus della malattia e della corruzione bisogna attingere alle energie migliori della terra calabrese, risorse che esistono ma che si trovano al di fuori di losche congreghe affaristiche. Solo così la Calabria avrà qualche speranza di rinascere, evitando di crollare in pezzi al minimo accenno di temporale (sanitario o meteorologico che sia). Articolo di Gianmarco Pucci
Stati confusionali
Domenica si sono svolti, dopo tanti rinvii, gli stati generali del M5S. Il Movimento, che allo stato attuale rappresenta la principale forza politica presente in parlamento e nel governo, ha colto l’occasione del congresso per analizzare la propria situazione e fare il punto su un futuro che non sembra più tanto roseo dopo gli scarsi risultati conseguiti alle ultime elezioni amministrative. Nel dibattito che è seguito alla relazione introduttiva del reggente, Vito Crimi, si sono riproposte poi le divisioni che ormai da mesi sferzano il Movimento. Uno scontro tra governisti e ribelli che ha investito anche alcuni dei capisaldi del programma originario del movimento fondato da Beppe Grillo come il vincolo del doppio mandato , il nodo delle alleanze e soprattutto la guida del M5S. Al termine dei lavori si è optato per una sintesi fra le varie posizioni emerse nel congresso, stabilendosi il limite di due mandati per le candidature, il no ad alleanza non programmatiche e l’assegnazione della guida del Movimento a un organo collegiale. Tuttavia, questo non ha dipanato la confusione che aleggia nel partito e che registra pesanti ripercussioni anche nell’attività di governo. Infatti, in questi ultimi tempi si è visto come il governo di Giuseppe Conte abbia drammaticamente tentennato davanti all’impennata di contagi da Coronavirus, rendendosi responsabile di diatribe di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Ciò è avvenuto, in particolar modo, nel rapporto con le regioni, che hanno approfittato della debolezza del governo per far pesare la loro influenza nell’adozione delle misure sanitarie anticovid. Un fatto increscioso che non solo getta un ombra sull’operato di alcune giunte regionali, ma che ha reso ancora più urgente la necessità, trascorsa l’epidemia, di mettere mano alla riforma del Titolo V della Costituzione e alla distribuzione delle competenze fra Stato e regioni. Lo scontro non ha, comunque, riguardato solo il governo e le amministrazioni regionali , ma anche il dibattito parlamentare. In questi mesi si è assistito a un ostruzionismo ingiustificato da parte di alcune forze politiche dell’opposizione, che nel chiaro intento di portare acqua al loro mulino hanno più volte cambiato posizione, rendendosi un giorno disponibili a dialogare con il governo e un altro giorno criticandolo aspramente. Certamente il governo non ha brillato per compostezza ed efficienza, ma è anche vero che in un momento tragico come quello attuale ci si sarebbe aspettato tutt’altro atteggiamento da parte dell’opposizione. Da tale linea di condotta si è, tuttavia, smarcata Forza Italia, avendo Berlusconi offerto al governo collaborazione in parlamento al fine di superare la grave crisi sanitaria in atto. Un’offerta che, però, sembrerebbe celare , malgrado la decisa smentita dei diretti interessati, un progetto più ampio della semplice cortesia istituzionale, circolando da tempo in Transatlantico voci relative a un possibile ingresso di Forza Italia nella maggioranza di governo. A prescindere o meno dal verificarsi di un tale mutamento nella compagine governativa, a spiccare continua ad essere la deplorevole leggerezza con cui la classe politica italiana affronta la pandemia. Leggerezza che non fa che generare confusione e smarrimento, mettendo in risalto le tante discrepanze presenti nel nostro paese. Emblematico, a tal proposito, è stata la gestione commissariale della sanità in Calabria, dove negli ultimi giorni si sono succeduti ben tre diversi commissari poi dimessisi a causa dell’inettitudine a ricoprire l’incarico. Un ignobile balletto che risulta secondo solo al teatrino di una politica sempre più vittima di spinte schizofreniche, in cui ciò che si dice viene drasticamente smentito da quello che poi si fa concretamente. Ciò nonostante si continuano a celebrare stati generali, che nulla hanno vedere con quelli della Francia di Luigi XVI, ma che non fanno altro che accrescere la percezione dello stato confusionale di chi oggi ha responsabilità di governo. Confusione che i cittadini pagano in prima persona ogni giorno che passa. Articolo di Gianmarco Pucci
Bentornata America
Alle 17 ora italiana( le 11 negli Usa) della giornata di ieri è finalmente arrivata la notizia che molti nel mondo attendevano: Joe Biden sarà il 46° presidente degli Stati Uniti d’America. Determinante è stata l’assegnazione ai democratici della Pennsylvania, che con i suoi 20 grandi elettori ha permesso all’ex vicepresidente di raggiungere la maggioranza necessaria per essere eletto. La notizia della vittoria è stata salutata con giubilo nelle strade e nelle piazze di molte città americane. Cortei pacifici hanno sfilato a Washington, New York, Los Angeles, Boston senza che si assistesse a eccezionali atti di violenza o disordini come previsto da alcuni commentatori fino a pochi giorni fa. Anzi l’atmosfera è stata descritta come quella di una grande festa, simile a quella del giorno dell’indipendenza. Festa che, tuttavia, si celebra sui resti di un paese spaccato a metà e che il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà necessariamente ricucire. Non a caso Biden, nel suo primo discorso da presidente eletto, ha parlato di un paese da guarire, da riunificare sotto un’ unica bandiera senza, quindi, alimentare più odio e divisioni come avvenuto in questi ultimi quattro anni. Il riferimento era senza ombra di dubbio rivolto all’attuale presidente Donald Trump, che sebbene sconfitto continua ostinatamente a negare la verità dei fatti, minacciando ricorsi e denunciando brogli. Un comportamento assai poco presidenziale che produrrà, quasi certamente, una grave crisi istituzionale, facendo scivolare la la più grande democrazia occidentale verso un terreno incognito, mai esplorato prima. Le norme costituzionali al riguardo poco dicono su un eventuale contestazione del voto , se non che l’ultima parola spetta alla Corte Suprema, la quale deve pronunciarsi entro l’8 Dicembre relativamente alla trasparenza del procedimento elettorale appena conclusosi. Corte Suprema che, nonostante sia allo stato attuale a maggioranza conservatrice, non è detto che si assuma l’onere di sovvertire l’esito del voto per compiacere il suo presidente. Al contrario la tendenza che si sta consolidando in queste ore, anche fra i repubblicani, è invece di segno opposto. Sono in molti, infatti, a chiedere a Trump, qualora insista a non voler ammettere la sconfitta, di consentire almeno una pacifica transizione del potere. Consigli che il presidente sta per il momento ignorando, malgrado la pressione fatta su di lui anche da importanti membri della sua stessa famiglia come la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner, accrescendo in tal senso il proprio isolamento e la propria frustrazione. Condizione immortalata nitidamente ieri, allorché mentre il mondo applaudiva il nuovo presidente degli Usa, Trump si ritrovava, da solo, a giocare a golf sui campi della Virginia. Come finirà l’aspra disputa su questo voto lo si scoprirà solo nelle prossime settimane,ma vi è una certezza: il prossimo 20 Gennaio Joe Biden entrerà ufficialmente in carica come presidente degli Stati Uniti e avrà gravose sfide da affrontare, alcune delle quali già da lui elencate nel discorso di ringraziamento. L’emergenza Covid 19, il cambiamento climatico, le tensioni razziali , la crisi economica e sociale generata dalla pandemia sono solo una parte del duro compito di guarigione dell’America che lo attende. Oltre a dover ricomporre la frattura con quella parte di paese che non lo ha votato, Biden dovrà costantemente e proficuamente dialogare con un opposizione, che avendo mantenuto allo stato attuale il controllo di una parte del Congresso( vale a dire il Senato), rischia di rallentare molte di quelle riforme che la nuova amministrazione si appresta a varare. Suo compito sarà anche quello di ripristinare le relazioni internazionali con la Nato, con l’Europa e stemperare il clima di tensione da guerra fredda instauratosi con la Cina, accusata da Trump di aver portato il virus. Obiettivi d’importanza strategica non solo per gli Stati Uniti,ma anche per il resto del mondo. Per questo motivo, fiduciosi nel nuovo corso preso dagli Stati Uniti, non si può che benevolmente augurare buona fortuna al nuovo presidente. Bentornata America! Articolo di Gianmarco Pucci
La quiete e la tempesta
Quella di Martedì, parafrasando il titolo di una celebre trasmissione di Sergio Zavoli, è stata senz’altro la notte più lunga della Repubblica Usa. Per la prima volta dopo vent’anni gli Stati Uniti d’America si sono svegliati senza avere un presidente designato. L’ ultima volta in cui si concretizzò un simile scenario fu infatti nel 2000, allorché il repubblicano George W Bush vinse di misura sul candidato del partito democratico Al Gore. Oggi la storia sembra ripetersi, seppure con accenti e toni differenti. I due candidati alla presidenza sono stati considerati ,fino a ieri, sostanzialmente alla pari nel conteggio dei voti stato per stato. Poi, nella mattinata, le sorti hanno iniziato lentamente a capovolgersi a favore di Joe Biden, il quale ha conquistato due degli stati ritenuti decisivi per la vittoria ( ovvero Michigan e Wisconsin). Ora resta da attendere i risultati degli altri che, a causa dell’elevato numero di schede spedite per posta, comunicheranno i dati definitivi solo nei prossimi giorni. Una modalità questa aspramente criticata da Donald Trump per la sua presunta iniquità, ma che potrebbe risultare determinante, specie in stati in bilico come la Pennsylvania, nel decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Resta comunque certo che,allo stato attuale, Joe Biden è avanti sia nei voti popolari sia nel calcolo dei grandi elettori, sebbene con un margine di vantaggio inferiore rispetto a quanto riportato dai sondaggisti fino a pochi giorni fa( appena due punti percentuali). Al contrario Trump sembra sempre più sfavorito nella corsa alla presidenza, tanto che ha già minacciato di ricorrere alla Corte Suprema nel caso in cui i democratici gli dovessero “rubare” l’elezione. Per il Tycoon di New York sarebbe, infatti, in corso una vera frode perpretata dagli avversari per liberarsi di lui. Ha anche richiesto, per bocca del suo avvocato Rudolph Giuliani, di bloccare il conteggio dei voti negli stati più a rischio, all’evidente scopo di non dover ammettere la sconfitta elettorale. Dichiarazioni esplosive che apertamente stridono con le parole di cautela pronunciate al riguardo da Biden. Esso ha già annunciato, a tal riguardo, che non si proclamerà vincitore fino a quando non verranno contate tutte le schede elettorali, dimostrando una calma serafica che non si addice al suo sfidante. Al contrario esso diviene sempre più furente mano a mano che passano le ore e diminuiscono per lui le possibilità di ribaltare a suo favore l’esito elettorale. Ecco, perché con molte probabilità lo scontro potrebbe trasferirsi nelle prossime settimane dalle urne alle aule di giustizia, dando luogo a una crisi istituzionale senza precedenti nella storia degli Stati Uniti. Un conflitto che, tuttavia, riflette le lacerazioni e le contraddizioni presenti nella società americana e a cui Donald Trump e Joe Biden hanno, loro malgrado, dato forma. Nelle loro parole, nei loro gesti si condensano due diverse visioni dell’America e del suo ruolo nel mondo. Da un lato c è un paese arrabbiato, depresso, rurale e razzista che ha evidentemente trovato in Trump il suo alfiere, il superuomo per dirla con le parole di Friedric Nietzsche, in grado di far ripartire l’economia a stelle e strisce, restituendogli la gloria di un tempo( e in questo senso il motto “rifaremo grande l’America” acquista veramente senso pregnante). Dall’altro lato c è un paese preoccupato per le violenze, per il virus, e che aspira a riconciliarsi con la sua anima più profonda dopo anni più che mai turbolenti. In tale rigida polarizzazione verrebbe da dire che la quiete sta precedendo la tempesta, ma in realtà, a ragion veduta, sembra che in questo caso la prima e la seconda si siano equamente divise i ruoli loro assegnatole dalla sorte. Articolo di Gianmarco Pucci